E’ il complesso insieme di competenze e strumenti che aiutano una figura di riferimento (il Change Manager) nella gestione del cambiamento all’interno dell’azienda.
E’ l’approccio che mira a rendere meno traumatico possibile un periodo di transizione, nel quale le persone e l’organizzazione vengono guidate, o meglio accompagnate, in un percorso destinato a riscrivere i processi e, di conseguenza, il modo di lavorare.
Perché cambiare?
Il cambiamento delle proprie abitudini, che ci si riferisca alla vita privata o a quella lavorativa, è spesso percepito come un disagio, se non addirittura un fastidio.
Cambiare però è migliorare, scoprire, innovare: è un passo verso il futuro che, nell’economia attuale, è diventato inevitabile.
Per adattarsi a una realtà che muta con rapidità impressionante, per stare al passo in un universo sempre più vasto e in continua evoluzione, il cambiamento, inteso come miglioramento continuo, che è elemento caratterizzante del Lean Six Sigma, è diventata l’unica ricetta, non solo per il successo, ma spesso addirittura per la sopravvivenza.
Non basta però la necessità a creare le condizioni affinché il cambiamento sia efficace. Non basta neppure per evitare che sia traumatico.
Perciò, mentre pensiamo a cosa cambiare, sarebbe il caso di preparare la transizione, di studiare un percorso che permetta alle persone coinvolte di rinunciare alla naturale resistenza al cambiamento.
Tra i mezzi più efficaci per combattere tale resistenza, vale la pena citare la Theory U di Otto Scharmer, una delle più efficaci e apprezzate teorie del Change Management, qui trovi un approfondimento.
Perché ci opponiamo al cambiamento?
A nessuno piace cambiare abitudini e sarebbe sufficiente questo per spiegare la resistenza. Purtroppo in ballo c’è molto di più.
Semplificando le svariate opposizioni generate in un clima inevitabilmente instabile come quello che si diffonde in azienda quando si intravedono cambiamenti, si possono individuare quattro tipologie di comportamento ostile:
- mentalità conservatrice: il cambiamento è visto come una forza che sconvolge un apprezzato status quo;
- pigrizia: penso che l’adattamento costerà enorme fatica;
- paura (di non farcela): le nuove pratiche sembrano troppo complesse e farò una brutta figura;
- appagamento: mi accontento di quello che ho e non vedo una ragione per cambiare.
Individuare la forma di resistenza è il primo passo per vincerla, perché comprendere le persone rimane la tecnica più efficace (oltre che più sana) per portarle a bordo.
Opposizione diretta e indiretta
Può sembrare un paradosso, ma in un contesto simile il migliore alleato del cambiamento è chi vi si oppone palesemente, perché permette di conoscere il problema e, di conseguenza, di affrontarlo.
Se siamo convinti di una scelta, è benvenuto chiunque ci dia l’opportunità di spiegarne la genesi e le conseguenze.
Il dissenso è l’occasione per raccontare
- le ragioni che ci hanno portato a una determinata decisione,
- la visione che abbiamo in merito al futuro.
Quando chi ha partorito la scelta è messo nelle condizioni di spiegarla, se è accompagnato da buone qualità comunicative, può trasmettere grande fiducia e serenità.
Di fronte all’opposizione silenziosa, al contrario, siamo disarmati, o quasi.
Possiamo riconoscerla attraverso alcuni segnali, su tutti l’assenza di entusiasmo e motivazione, ma comprenderne l’origine diventa molto complicato.
Il modello dell’elaborazione del lutto di Kübler Ross
Hai letto bene. Un modello di elaborazione del LUTTO è diventato un punto di riferimento in ambito di change management.
La teoria elaborata dalla psichiatra elvetica oltre 5 decenni fa, almeno inizialmente con tutt’altre finalità, ancora oggi è un punto di riferimento per chiunque approcci la problematica del cambiamento in azienda.
La celebre curva disegnata dalla pioniera degli studi sull’assistenza ai malati terminali, immaginata per riassumere le cinque fasi del lutto e poi ampliata al concetto di perdita, può aiutare a descrivere i vari stadi che la maggior parte di noi attraversa durante l’implementazione di nuove pratiche aziendali.
Gli stadi emotivi conseguenti a una perdita
- Shock: è la reazione che istantaneamente provo quando vengo a conoscenza della perdita.
- Rifiuto: superato lo shock, ho bisogno di nascondermi la realtà o la rilevanza che l’evento avrà sulla mia persona.
- Frustrazione: mi rendo conto che le cose sono cambiate e nella maggior parte dei casi reagisco con rabbia.
- Depressione: visto che la rabbia non ha prodotto risultati apprezzabili, mi abbatto, come se non avessi la forza per reagire.
- Sperimentazione: giunto finalmente all’accettazione, inizio a testare la nuova realtà.
- Decisione: imparo a convivere con la nuova realtà e il cambiamento comincia a mostrarmi i suoi lati positivi.
- Integrazione: la nuova realtà è parte di me, non percepisco più il trauma del cambiamento, perché finalmente sono cambiato anch’io.
Il ruolo del leader nel Change Management
Può essere un percorso individuale e intimo, ma niente ci vieta di renderlo meno stressante per chi appare in difficoltà.
In quest’ottica conoscere le varie fasi, e riconoscere quale stia attraversando ogni membro del team, è una dote inestimabile per chi abbia la responsabilità di gestire un gruppo di lavoro.
- Nella fase inziale è importante utilizzare una comunicazione chiara e trasparente, che includa tutte le informazioni utili a spiegare il cambiamento.
- Quando la curva precipita, serviranno incoraggiamenti, rassicurazioni sul fatto che lungo il percorso tutti troveranno assistenza, indicazioni sulla strada da seguire per risalire la china.
- Durante la risalita, infine, non dovranno mancare complimenti e celebrazioni, perché un domani allo sforzo possa essere associata la soddisfazione del successo.
Non tutti attraversiamo la curva di Kübler Ross con gli stessi tempi e neppure con le medesime modalità: alcuni non vedranno l’ora di abbracciare il cambiamento, per altri il rifiuto potrebbe diventare permanente, o uscire dalla depressione risultare troppo difficile.
Negli ultimi due casi, il ruolo del leader, ma anche dei colleghi, sarà fondamentale.
Cambiamento sostenibile
Cambiare è indispensabile, ma bisogna riconoscere che lo è anche comunicare efficacemente il cambiamento. O meglio: la comunicazione è lo strumento grazie al quale possiamo accompagnare le persone lungo la curva dell’accettazione.
- Il primo passo (forse sarebbe più corretto definirlo il passo zero) è coinvolgere le persone nella decisione. Non significa demandare loro la decisione (a volte è possibile, frequentemente non lo è), ma renderle partecipi del momento decisionale.
- Nell’ipotesi che il precedente sia stato saltato, è importante divulgare e aiutare a comprendere le ragioni del cambiamento. Quando viene accettato come una necessità, l’eventuale opposizione è percepita dalla maggioranza come pretestuosa e sterile.
- Comprendere avvicina all’accettazione, ma le nuove pratiche risulteranno comunque indigeste, perché modificare le proprie abitudini non piace (quasi) a nessuno. La formazione, prevedendo percorsi individuali, disegnati ad hoc nei casi più complessi, può garantire la spallata in grado di abbattere le ultime resistenze.
- Quando finalmente la macchina raggiunge il nuovo regime, non bisogna dimenticare di costruire fiducia e motivazione attraverso i feedback, utili anche a chiarire cosa meriti di essere standardizzato. Eventuali celebrazioni e premi non stonano.
- Non potendo pretendere che tutti arrivino al traguardo negli stessi tempi, il follow up diventa un momento in cui si verifica l’adeguamento dei ritardatari, oltre a eventuali correttivi e alla standardizzazione delle nuove pratiche.
Per gestire il cambiamento bisogna comprendere che modificare un processo altera anche quel complesso microcosmo che racchiude le consuetudini delle persone.
Del resto, gestire un’organizzazione significa gestire le persone prima ancora che i processi: trovare la chiave per ingaggiare quelle persone, proprio come il cambiamento, è diventato indispensabile.