Tendiamo a sottovalutare il valore della comunicazione.
Come canta De Gregori, nessuno si senta offeso… e nessuno si senta escluso.
Nella migliore delle ipotesi, ne diamo un’interpretazione egocentrica: se ritengo di essere stato chiaro, ho il diritto di presumere che il destinatario abbia recepito il messaggio.
Purtroppo è più corretto ribaltare i termini della presunzione: se non mi ha capito, evidentemente il messaggio non era costruito in maniera corretta. Insomma, rimane un’enorme incidenza di valutazioni soggettive, ma il soggetto tutelato non è l’emittente, bensì il ricevente.
Cosa significa comunicazione efficace?
Alla luce delle considerazioni precedenti, rispondere alla domanda è un po’ più semplice.
Innanzitutto una comunicazione è efficace quando viene compresa dal destinatario. Non chi parla, o più in generale emette il messaggio, ma chi lo ascolta, o riceve, può dire quale sia il contenuto trasmesso.
Da ciò deriva una conseguenza pratica che non dovremmo mai trascurare: data la reciproca diversità, ogni volta che cambia il destinatario, dovrebbe essere modificata anche la costruzione del messaggio.
A volte i cambiamenti saranno radicali, in altri casi minimi, ma utilizzare, per fare un esempio, lo stesso tipo di linguaggio rivolgendosi a soggetti inevitabilmente diversi (per estrazione, cultura, etc.), è pericoloso.
Le Life Skills dell’OMS
Nel 1993 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stilato un insieme di competenze strumentali allo sviluppo, sul piano individuale e sociale, delle persone. Ha inoltre invitato i governi nazionali a integrarle nei programmi educativi sin dal primo grado di istruzione.
Tra queste competenze, certificandone la rilevanza, ha inserito la comunicazione efficace. È stata anche l’occasione per arricchirla di contenuti utili a tratteggiarne meglio i contorni.
Comunicare efficacemente è esprimere le proprie opinioni anche quando divergenti e senza temere il giudizio altrui. Significa manifestare i propri sentimenti senza imbarazzo, segnalare le proprie necessità e, all’occorrenza, non esitare a chiedere aiuto. È ascoltare con attenzione gli altri, cercando di intuirne sentimenti e necessità.
Alla base di una comunicazione efficace c’è l’assertività, che nasce dal rispetto di se stessi (imparare a dire di no, come ha scritto Manuel J. Smith), ma va ben oltre.
Comunicare in maniera assertiva parte dal presupposto di riconoscere il confine tra i nostri diritti e quelli altrui. Presume di comunicare (e vivere) secondo il principio di reciprocità: se ritengo che un diritto mi spetti, mi debba essere riconosciuto, in egual misura dovrò riconoscerlo agli altri.
Tutto inizia con la chiarezza nell’esprimere le proprie necessità, prosegue col garantire agli altri il rispetto conquistato per se stessi e ha come prodotto finale la libertà. Di essere se stessi, di esprimersi senza condizionamenti esterni.
Sulle ali della libertà siamo in grado di riconoscere e perseguire i nostri veri obiettivi. Acquisiamo la fiducia in noi stessi utile a poterla concedere agli altri. Del resto, i due mondi, quello personale e quello dell’interazione sociale, si influenzano costantemente e dipendono uno dall’altro.
Se aumento il mio livello di soddisfazione sono più disponibile a interagire positivamente con chi mi circonda. Allo stesso tempo, i buoni rapporti sociali mi rendono più soddisfatto e, in ultima analisi, felice.
Verbale e non verbale
Negli anni si è diffusa la leggenda secondo la quale la comunicazione verbale incide per appena il 7% sul contenuto del messaggio trasmesso. L’errore deriva da un’errata interpretazione di una ricerca di Albert Mehrabian, che peraltro ha avuto il merito di accendere i riflettori su una tematica comunque interessante.
La comunicazione non verbale e quella paraverbale hanno un peso determinante nella decodificazione del ricevente.
Per quanto quel 7% sia ridicolmente basso, infatti, è meno distante dalla realtà rispetto al 70-80% sul quale molti di noi sarebbero stati disposti a scommettere.
Non possiamo pensare di organizzare in maniera efficiente la nostra comunicazione senza gestire il modo in cui accompagniamo le parole.
L’espressione del viso, le smorfie, il modo in cui gesticoliamo, il tono della voce, i silenzi: è infinita la gamma di scelte, più o meno volontarie, che influenzano il contenuto del messaggio.
Allo stesso modo, imparare a leggere ciò che non viene detto dai nostri interlocutori, ci rende ascoltatori molto più efficienti.
Non a caso Peter Drucker, considerato il padre del management moderno, sosteneva che “la cosa più importante nella comunicazione è sentire ciò che non è stato detto”.
Ascolto Attivo
Proseguendo sul terreno delle citazioni, il celebre autore de ‘Le 7 regole per avere successo’, Stephen Covey, ha detto che “la maggior parte della gente non ascolta con l’intento di capire, ma con l’intento di rispondere”.
Alzi la mano chi non riconosce questo difetto in molti interlocutori!
Complimenti a quei pochi che ammetteranno di cadere spesso nello stesso errore; consolatevi pensando che riconoscerlo è il primo passo verso il miglioramento.
La verità è che ascoltare, ascoltare davvero, con attenzione, come se quello che viene raccontato ci interessasse realmente, è molto faticoso.
Perché in sostanza presume un sincero interesse per gli altri, ancor prima che per i loro discorsi. E questa è la ragione per cui è tanto importante.
Ascoltare vuol dire imparare, capire, conoscere. Significa vedere il mondo con altri occhi, percepire le cose da angolazione diversa.
Leonardo da Vinci ha espresso il concetto in maniera mirabile con un pizzico di utilitarismo: “Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri”.
Ascoltare e interessarsi agli altri è la chiave di accesso più semplice per interessarli.
Quando capisco come sei fatto, cosa ti motiva, quali sono i tuoi obiettivi e le tue necessità, ho tutto ciò che mi serve per fare breccia nelle difese che, istintivamente, l’essere umano tende a opporre ai propri simili.
Il legame tra Comunicazione e Produttività
Nessuno (spero) negherebbe l’esistenza di un link tra una buona comunicazione e la produttività. In pochi, però, ne percepiscono le molteplici connessioni e ancora meno sono disposti a investire tempo e risorse per trarne giovamento.
La comunicazione efficace, facilitando il mantenimento di buone relazioni interpersonali, arma la fiducia contro invidie e gelosie, genera spirito di gruppo e unione d’intenti.
Perché, deve essere chiaro, comunicare in maniera efficace non significa dire quello che pensiamo senza freni, né remore. Né tantomeno andare dal capo con una lista di lamentele degna dello shopping natalizio. Tutt’altro.
Comunicare i nostri pensieri e le nostre necessità non implica ignorare quelli altrui, altrimenti dove sarebbe il principio di reciprocità?
La parola fondamentale è equilibrio: nelle valutazioni, nelle scelte, nella ricerca delle soluzioni.
Se troviamo quel difficile equilibrio, dalla comunicazione nascono relazioni produttive, serenità diffusa, un generale senso di soddisfazione, un ambiente stimolante e gradevole.
Un simile terreno non può che agevolare creatività e produttività, ripagando con gli interessi gli investimenti relativa alla semina.
Comunicazione e Miglioramento Continuo
Per apprezzare l’impatto che la comunicazione ha quotidianamente sull’efficienza aziendale, basti pensare allo sviluppo dei progetti di miglioramento.
Sulla carta le idee sembrano spesso brillanti, ma coprire la distanza tra teoria e pratica è ciò che distingue il successo dal fallimento.
Astrattamente tutti vogliono migliorare, ma uscire dalla propria comfort zone fa paura. Per questo ogni metodologia che punti all’ottimizzazione dei processi deve essere affiancata da un percorso finalizzato al coinvolgimento delle persone chiamate a implementare il cambiamento. L’integrazione tra Lean Six Sigma e il Change Management, tra Process Excellence e Human Excellence è la chiave del successo sulla strada del Miglioramento Continuo.
Autoesigenza, capacità di fare squadra, senso di appartenenza: sono i comportamenti delle persone a guidare il cambiamento.